Il 5 febbraio è una data molto cara ai catanesi. Dal 3 al 5 febbraio si festeggia Sant’Agata, la Santa patrona. Le celebrazioni nel capoluogo etneo rappresentano una delle feste cattoliche più popolari, per il seguito di fedeli e per i lunghi festeggiamenti che animano la città giorno e notte per più di 3 giorni.
La festa di Sant’Aiutuzza, come viene chiamata affettuosamente dai suoi devoti, è stata dichiarata dall’Unesco “bene etno-antropologico patrimonio dell’umanità” ed è la terza festa religiosa più importante al mondo, dopo la Settimana Santa di Siviglia e la Festa del Corpus Domini di Guzco in Perù.
Le processioni iniziano il 3 febbraio con la tradizionale offerta della cera, proseguendo nei giorni successivi con il giro esterno della città e il giro interno nel centro storico addobbato con le caratteristiche luminarie.
Vestiti con il tradizionale saccu, un sacco bianco stretto in vita da una corda, i guanti bianchi e una cuffia nera chiamata scuzzetta, centinaia di devoti portano in processione il fercolo d’argento della santa, la vara. Si affiancano a questa dodici candelore, cioè grandi costruzioni in legno decorate e contenenti un grosso cero, appartenenti alle corporazioni di artigiani cittadini e portate a spalla con una caratteristica andatura barcollante detta annacata.
Tra preghiere e folklore, la folla affianca il corteo in tutto il suo percorso agitando fazzoletti bianchi e ripetendo in coro il tradizionale grido “Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti”.
Storie e leggende
Agata nasce a Catania nel III secolo dopo Cristo in una ricca famiglia nobiliare e sin da giovane decide di consacrare la sua vita a Dio, indossando il velo rosso delle vergini. In un periodo in cui era proibito professare il cristianesimo a causa delle persecuzioni dei romani, la giovane fanciulla non indietreggia nella sua scelta di castità neanche di fronte alle lusinghe del prefetto di Catania, il proconsole Quinziano, che, invaghitosene follemente, la vuole in sposa. Agata viene arrestata e costretta a subire torture indicibili, come l’atroce strappo dei seni, fino alla condanna a morte sul rogo. Secondo la tradizione cattolica, il fuoco brucia il suo corpo lasciando però intatto il velo rosso, divenuto così una delle sue reliquie più venerate. Durante l’esecuzione un violento terremoto scuote la città, spaventando i catanesi e costringendo Quinziano ad interrompere il supplizio della giovane, che muore in carcere dopo poco tempo.
Agata inizia così ad essere venerata come santa, vergine e martire, diventando patrona di Catania, nonchè protettrice delle donne affette da patologie al seno e invocata contro incendi ed eruzioni.
Dolci della tradizione
In occasione della Festa della Santuzza, generalmente tra gennaio e febbraio, si preparano due dolci tipici, le Olivette e le Cassatelle di Sant’Agata.
Piccole e delicate, le Olivette di Sant’Agata (in siciliano alivetti o aliveddi ri sant’Àjita) sono dolci di pasta di mandorla, profumati al rum e colorati di verde. Secondo la tradizione, la forma di oliva ricorda una scena miracolosa accaduta durante la vita della santa. Colpevole di essersi negata al proconsole Quinziano, Agata viene arrestata. Mentre viene condotta in carcere dei soldati, si inginocchia per allacciare un calzare e nei luoghi in cui sfiora la terra, tra lo stupore delle guardie e della folla, nasce un albero di ulivo, che diventa presto grande, rigoglioso e carico di frutti. Dopo il suo martirio i catanesi prendono allora l’abitudine di raccogliere le olive prodotte dall’albero per conservarle o donarle.
Le Cassatelle o Minnuzze di Sant’Agata (minnuzzi ri sant’Àjita o ri Virgini) sono piccole cassate siciliane a forma di piccoli seni. La ricetta prevede pan di spagna imbevuto di rosolio, una farcitura con ricotta, gocce di cioccolato e canditi, una copertura esterna con glassa bianca e una ciliegia candita in cima. Nel culto cristiano il riferimento alle mammelle è legato ad un episodio del martirio della santa che narra l’amputazione dei suoi seni con le tenaglie su ordine del proconsole Quinziano. Le Cassatelle vengono preparate con cura e dedizione da mani esclusivamente femminili per invocare la protezione della santa per l’anno successivo. La tradizione vuole che siano preparate in numero sempre pari, calcolandone due per ogni donna presente, facendo molta attenzione alle decorazioni e alla forma semisferica che deve essere invitante e somigliare il più possibile a seni veri, lisci e rotondi.